Il canone a due anni dall’entrata in vigore
Sono appena trascorsi due anni dall’entrata in vigore del Canone Patrimoniale di Concessione, Autorizzazione ed Esposizione Pubblicitaria ed ecco una prima modifica all’originario testo della Legge istitutiva n. 160 del 27 dicembre 2019: riguarda il comma 818, dell’articolo 1, che è stato modificato dal comma 838 della Legge n. 197 del 29 dicembre 2022 – Legge Bilancio 2023 – nella parte relativa all’ambito di applicazione sopprimendo le parole “di comuni”.
Il comma riformato assume, quindi, il seguente testo completo: “Nelle aree comunali si comprendono i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.
La modifica così operata non è priva di conseguenze perché pone fine allo scontro tra Comuni e Province sorta già all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo canone patrimoniale per tutte le installazioni che si trovassero su tratti di strada appartenenti alle province ed alle città metropolitane ma correnti all’interno del territorio comunale.
Sin dall’inizio ANCI ed IFEL ovvero le principali sigle istituzionali rappresentative degli Enti Locali, in particolare dei Comuni, avevano provato a giustificare sic et sempliciter una doppia imposizione non volendo avallare una perdita di gettito così consistente; successivamente, manifesta la posizione di UPI che rivendicava in favore delle Province almeno la quota del canone relativa all’occupazione del suolo, si è percorsa un’interpretazione mediana che vedeva il canone sdoppiato – o secondo la terminologia usata, c.d. “bicefalo” – ovvero formato da due componenti: quella dell’occupazione che seguiva il criterio della proprietà o pertinenza stradale e quindi poteva essere corrisposto in favore delle Province e quello dell’esposizione pubblicitaria che, invece, rimaneva sempre da corrispondersi in favore del Comune.
Così “tirando la giacca” al MEF, dopo diversi tentativi a suon di circolari e risposte ad interrogazioni, il legislatore ha inteso modificare il comma sempre avendo riguardo al criterio di proprietà/pertinenza della strada (che, dunque, viene confermato quale presupposto applicativo del canone e criterio distintivo di soggettività) raccordandosi con il testo dell’articolo 2, comma 7, del Codice della Strada per il quale “le strade urbane di cui al comma 2, lettere D, E ed F, sono sempre comunali quando siano situate all’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversino centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti”.
Quindi, per una corretta esegesi della norma, occorrerà sempre avere riguardo innanzitutto 1) alla qualifica della strada come urbana; 2) alla sua classificazione nelle tipologie D, E, ed F; 3) al perimetro centro abitato; 4) alla popolazione del comune. Laddove sussistano tutte queste condizioni ed il Comune abbia, nel suo complesso, popolazione superiore ai diecimila abitanti è evidente che, per tutte le installazioni presente su dette strade, il canone patrimoniale vada corrisposto in favore del Comune.
Attenzione però che le strade urbane sono sicuramente quelle in tipologia D) ed E) mentre per quanto concerne la lettera F) (strada locale, ovvero, “strada urbana o extraurbana opportunamente sistemata ai fini di cui al comma 1 non facente parte degli altri tipi di strade”) bisognerà di volta in volta condurre specifico accertamento. Per completezza, anche la tipologia A) può essere urbana, ma ciò non ha rilievo almeno per quanto riguarda le esposizioni pubblicitarie che, si ricorda, sono vietate lungo ed in vista delle autostrade e relativi accessi.
Detto questo, i c.d. tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che corrono all’interno dei centri abitati possono essere, quindi, tratti in tipologia A), B) e C); considerando, come appena osservato, che le esposizioni pubblicitarie sono vietate lungo ed in vista delle autostrade e relativi accessi nonché delle extraurbane principali (ovvero tipologia B), per le esposizioni pubblicitarie vengono in rilievo soltanto le strade extraurbane della tipologia C.
Ebbene, laddove dette strade (extraurbane C) o F) attraversino centri abitati con popolazione non superiore a 10.000 abitanti rimarranno nella proprietà/pertinenza di Ente diverso dal Comune cui, quindi, non dovrà essere corrisposto alcun canone per le installazioni presenti su tali tratte.
Quale, dunque, la differenza rispetto all’originario testo?
In realtà, le parole “di comuni”, nel corretto significato grammaticale, riferiva il dato numerico dei 10.000 abitanti al comune complessivamente considerato e non al centro abitato del comune; con il testo riformato, invece, è certa la correlazione tra il centro abitato e la popolazione da individuarsi, dentro il centro abitato, se al di sopra o al di sotto dei 10.000 abitanti.
Quale la conseguenza rispetto al canone patrimoniale e suo pagamento?
L’esempio più facile può essere un tratto di strada C), provinciale,
che attraversa un Comune il cui centro abitato ha popolazione superiore ai 10.000 abitanti: in tal caso, prescrive il novellato testo, quel tratto corrente all’interno del centro abitato verrà comunque ricompreso nelle aree comunali di tal che il canone patrimoniale dovrà essere corrisposto al comune e non alla provincia.
Forse non può sfuggire che tale novella finisce con il favorire i Comuni più grandi che sono di gran lunga inferiori (numericamente) rispetto ai comuni di media e piccola dimensione.
Tuttavia, leggendo qualche autorevole contributo già pubblicato su diverse riviste, la riforma viene presentata come un riconoscimento della tesi che vede il canone patrimoniale sdoppiato nella componente relativa all’occupazione ed in quella dell’esposizione pubblicitaria; trascrivendo letteralmente “Il soggetto passivo (l’imprenditore) che installi su suolo provinciale un impianto pubblicitario dovrà invece pagare: il canone al Comune per il presupposto pubblicitario (anziché l’ICPDPA o il CIMP) e il canone alla Provincia per il presupposto occupazionale (anziché la TOSAP o il COSAP), come è giusto e logico che sia”
A parere di chi scrive, tale tesi non appare giuridicamente sostenibile né prima né dopo la novella: a prescindere, infatti, dalla riforma del testo il presupposto del canone è alternativamente quello di cui alla lettera a) del comma 819 oppure quello della lettera b).
In caso contrario, non avrebbe alcun senso specificare, nella lettera b), i connotati dell’installazione (“… mediante impianti installati su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti”) in quanto già previsti nella lettera a); non avrebbe senso la precisazione del comma 820 [“l’applicazione del canone dovuto per la diffusione di messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma”]; non avrebbe senso la diversa determinazione del canone riferito, nel comma 824 alle occupazioni, mentre nel comma 825 alla diffusione di messaggi pubblicitari (e non semplicemente all’esposizione).
Inoltre, che l’unicità del canone debba essere riferita al soggetto attivo e non a quello passivo non trova proprio fondamento nel contesto normativo; né ad un’obiettiva esegesi del testo, nel quale, infatti, il presupposto non è correlato ad uno specifico soggetto né ad una soggettività soltanto attiva o soltanto passiva. Trattasi, invero, di un chiaro distinguo tra l’occupazione delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico rispetto alla diffusione di messaggi pubblicitari mediante impianti installati su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti etc.
Concludendo, la novella appena introdotta forse può avere il merito di illuminare gli operatori ed interpreti chiamati all’applicazione del canone patrimoniale sugli specifici tratti stradali, ma la scelta comunque coraggiosa che il legislatore ha compiuto nel riformare una piccola, seppur complessa, parte della fiscalità locale non sta portando ad un’equità sostanziale tra Enti e contribuenti; piuttosto, si teme, che con piccoli accomodamenti, si finisca per stravolgere il costrutto nei suoi connotati fondamentali.
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